Alaska


Primavera 2000

Mercoledì 24 Maggio ore 08.25 pm
Siamo partiti da Milano diretti in Svizzera. Una volta li, da Zurigo con un volo diretto raggiungeremo la meta agognata per lungo tempo : il grande nord. E’ il mio primo volo, e in me c’è un po’ di apprensione, ma il desiderio di visitare loYukon e l’Alaska funge da anestetico per le mie paure. Con me c’è Maurizio, un esploratore Trentino che mi accompagnerà in questo viaggio. Lui è un profondo conoscitore di quei posti, e ultimamente ha portato a termine una grossa impresa, attraversando l’Alaska d’inverno in solitaria per 1100 chilometri in soli 47gg.

Giovedì 25 maggio ore 07.45 am
L’imbarco per Whitehorse non è stato dei più facili, a causa del nostro carico eccedente creato dalle riserve alimentari che ci portavamo dietro, e dai numerosi doni destinati alle tribù dei nativi. Alla fine dopo un congruo esborso di franchi svizzeri riusciamo a mettere piede sull’aereo. Il volo è lungo e alquanto noioso, ma ci sono le hostess che si prodigano non poco per addolcirti il viaggio. Tra le altre c’è Sandra, una ragazza tedesca schiva e riservata, ma molto bella. Ha cercato per tutto il viaggio di mettermi a mio agio, nonostante la lingua sia stato un ostacolo quasi insormontabile. A metà tragitto quando sorvolavamo la Groenlandia, hoconosciuto Ludovica; a dire il vero, è lei che ha fatto il primo passo proponendomi di aiutarmi a riempire un questionario in lingua inglese che dovevamo riconsegnare alla dogana canadese. Ludovica è una donna sui quarant’anni, spontanea, molto fine e aggraziata nei modi. Lavora in una agenzia di viaggi di Lugano. Si reca a Whitehorse per organizzare i prossimi viaggi estivi. E’ italiana del Friuli, ma abita in Svizzera nel Canton Ticino per ragioni di lavoro. Si è mostrata molto interessata dal racconto che le ho fatto, circa la mia presenza su quel volo. In sua compagnia, il resto del viaggio, è letteralmente volato. e quasi quasi, mi è un po’ dispiaciuto arrivare così in fretta.

Giovedì 25 maggio ore 09.00 am
All’arrivo a Withehorse troviamo la banda ad accoglierci. Il nostro volo è il primo diretto dall’Europa, così ci hanno fatto una grande festa con Majorettes e un ricco buffet con della frutta freschissima e impensabile per queste latitudini. Dopo aver ritirato i nostri bagagli, ci siamo congedati da Ludovica. Lei era diretta al Westmark Inn, noi al noleggio auto della città. Sul taxi, al pensiero che non l’avrei più rivista mi sono po’ immalinconito, e ho pensato che era davvero un peccato. Maurizio mi dice che dobbiamo andare in centro a fare la spesa, tra l’altro ci servirebbe un fornello per cucinarci un pasto caldo quando saremo lontani da centri abitati. Ritirata l’auto (una fiammante 4x4) siamo entrati in città. Withehorse è una bella cittadina tipica del nord, strade larghe, casette basse multicolori tutte in stile liberty. Il traffico non è come da noi. Anche se intenso non è caotico. Il pedone che tenta di attraversare la strada, ha ottime chances di arrivare dalla parte opposta. Dopo un’ora, tra spesa e coda siamo fuori dal supermercato diretti in qualche pizzeria. Anche se eravamo arrivati nello stesso giorno della partenza, addirittura alla stessa ora dell’imbarco, in realtà erano trascorse più di 10 ore, e perciò un certo languorino era più che legittimo. L’aria del grande nord, il fatto di aver messo piede su una meta desiderata per così lungo tempo, non sono bastati per lenire i morsi della fame. Così poco dopo, mentre siamo davanti ad una pizza, Maurizio mi dice che avremmo cercato di raggiungere un villaggio eschimese nei pressi di Nome: nella Seward peninsula, per pianificare un suo successivo viaggio. Allo stesso tempo, io ne approfittavo per consegnare al sindaco della città una targa ricordo, dono del primo cittadino del mio Paese nativo. La strada per Dawson city è lunga ma non certo noiosa, appena usciti da Withehorse scorgiamo lo Yukon, che ci appare subito maestoso; E’ un fiume enorme di quelli che destano impressione per la grande portata d’acqua di cui dispone. E’ lungo più di 3000 Km, ed è quasi del tutto navigabile. Dopo quasi 150 km, arriviamo ad un punto di ristoro, sede, in inverno, di un chech point della “Yukon Quest”:famosa quanto massacrante corsa di slitte trainate da cani. Conosciamo Miki, una bella ragazza del Minnesota, che ha lasciato il marito a casa, per venire fin quassù con un’amica per fare fortuna con i turisti che passeranno da queste parti in estate. Ci offrono una focaccia ipercalorica, e visto che siamo i primi esseri viventi che vedono da una quindicina di giorni a questa parte, non ci fanno nemmeno pagare il conto. Ripartiti, dopo pochi km ci fermiamo a Carmack, per fare benzina. Carmack, sulla cartina stradale è riportata in bella evidenza, in realtà è soltanto un agglomerato di poche e vecchie baracche abitate da qualche nativo, e uno store per fare rifornimenti di viveri. Five Finger Rapid : le rapide delle cinque dita, si trovano a circa metà strada Per arrivare a Dawson City. Un’autentica forza della natura, che ci ha fatto deviare dalla Klondike Highway per poterla ammirare più da vicino. Cinque speroni di roccia si erigono a fronteggiare una corrente gia vorticosa, creando degli spruzzi e delle risacche, che certamente complicarono la vita ai tanti cercatori di fortuna che (essendo l’unica via di accesso) volevano arrivare a Dawson, in cerca dell’oro alla fine del secolo scorso. Fatte le foto di rito, ripartiamo per Dawson City, dove pensiamo di pernottare, per far si che la mattina, riposati, cercheremo di affrontare le insidie della Dempster Highway in tutta tranquillità. Prima di arrivare al bivio di D.C. e la Dempster, sulla nostra destra scorgiamo un orso nero, intento a finire i resti di un animale, che, da un controllo più ravvicinato, crediamo appartenessero ad una lepre. Al crocevia mentre facciamo benzina, Maurizio, mi dice che sarebbe meglio “toglierci subito il dente” nel senso che, invece di raggiungere Dawson, che dista ancora 50 km, tentare di puntare sulla Dempster, e fermarci a dormire quando ci accorgeremo di non farcela più. Quest’anno la primavera è un po in ritardo a queste latitudini, tant’è, che dobbiamo chiedere al gestore del distributore se la strada è stata aperta (nei mesi invernali, la Dempster al pari di altre strade di queste zone sono chiuse al traffico veicolare). Ricevuto risposta affermativa partiamo: la D. H. è una strada sterrata piena di sassi e buche. Polverosa d’estate, acquitrinosa e scivolosa in primavera, dopo 850 km circa, non prima di aver guadato 2 grandi fiumi, (il Peel river e lo Yukon river) e attraversato la linea immaginaria del circolo polare artico, giunge ad Inuvik; cittadina adagiata sulle rive del mare di Beaufort e nostra prossima meta. Man mano che avanziamo su questo budello sterrato, ai nostri occhi si prospetta un paesaggio di selvaggia bellezza; dopo un’ora di viaggio, gli unici essere viventi che abbiamo incontrato sono una mezza dozzina di porcospini americani: molto più grandi dei cugini europei, ma non per questo meno diffidenti e dotati di una certa ritrosia a farsi fotografare. Più ci addentriamo lungo la Dempster Highway, più il tempo (fino a quel momento discreto) peggiora, gli sporadici fiocchi di neve, che fino a quel momento, erano solo decorativi e d’uopo in quel paesaggio seminvernale; si sono trasformati in una nevicata “coi fiocchi”. Il paesaggio fino a quel momento parzialmente innevato, è completamente imbiancato nel volgere di pochi minuti. Sono quasi le undici di sera, e data la stagione si vede ancora abbastanza bene nonostante il cielo minaccioso nasconda il sole sopra l’orizzonte. Resoci conto, che il manto stradale era ridotto ad una poltiglia di neve e fango, abbiamo deciso di accamparci al primo spiazzo che incontreremo. Montare la tenda sotto una nevicata, e perdippiù con qualche folata di vento non rappresenta il massimo nella vita. Devo dire però che Maurizio se le cavata egregiamente. Palesemente avvezzo a situazioni simili, con 5 minuti, la sua “suite” è pronta. Per quanto riguarda la mia, beh, abbiamo soprasseduto, e di comune accordo ho deciso che avrei passato la mia prima notte nel grande nord al sicuro, dentro il nostro 4x4. Non è stato facile chiudere occhio, vuoi perché il mio sacco a pelo non mi “riscaldava” a sufficienza, vuoi anche il rumore dei granelli di neve che si infrangevano sui finestrini, fatto sta che la mia mente era talmente impegnata a vagliare i rischi che quella condizione comportava, e non aveva certamente il tempo per riposare.

Venerdì 26 maggio ore 07.00 am
Non nevica più, vista l’ora, ho pensato che era giunto il momento di alzarmi per potermi rendere conto di quanta neve era caduta, e se era il caso di proseguire il nostro Viaggio verso Inuvik. Maurizio era già sveglio, e aveva effettuato una ricognizione intorno al nostro campo. Non sembrava troppo ottimista, visto che sulla strada l’altezza del manto nevoso era di circa 15 cm. Non tantissimi per un buon fuoristrada, ma eravamo ancora in pianura e davanti a noi ci attendevano 700 km di solitudine e 2 catene montuose da attraversare. Ricaricato tutto in macchina, dopo aver fatto una misera colazione, siamo partiti decisi a tentare di raggiungere il nostro obbiettivo cercando di non correre rischi inutili, ma haimè, dopo una quarantina di km sui primi contrafforti delle Tombstone Mountain, con la neve alta quasi mezzo metro, ci siamo arresi. Era troppo rischioso proseguire con quelle condizioni. Il rischio di bloccarci e non riuscire a ripartire era troppo alto, e con non poche difficoltà ed il morale sotto i tacchi, abbiamo invertito il senso di marcia. Stavamo consumando troppa benzina, e anche se la strada di li in avanti sarebbe migliorata, non eravamo più tanto sicuri di arrivare al rifornimento di Eagle Plain. Lungo il ritorno, a circa 200 metri di distanza dal nostro accampamento notturno, mentre sono Impegnato a controllare il mezzo su quella fanghiglia molto scivolosa, la coda dell’occhio viene attirata da una massa scura che si staglia sul bianco candido della neve. Un’enorme orso grizzly era intento a sbranare qualcosa che abbiamo subito riconosciuto appena fermatoci. Si trattava di un caribou, ed era ancora vivo, agonizzante. Alla nostra vista l’orso, forse seccato per la nostra presenza, si è eretto sulle zampe posteriori apparendoci ancora di più mastodontico. Roba da far venire la pelle d’oca, l’avevamo a non più di 12 mt, e il fatto di essere protetti dalla nostra vettura, ha evitato di farci rendere dal panico. Tutto questo è durato solo pochi secondi, perché il plantigrado dopo averci mostrato I muscoli, è tornato sulle 4 zampe e si è eclissato grugnendo nella macchia, lasciando dietro di se Una scia di sangue e una bestiola ancora da finire. Venerdì 26 maggio ore 12.00 amDawson City; il teatro della mitica corsa all’oro si mostra ai nostri occhi con tutta la sua caratteristica Bellezza. Una cittadina che sembra il set di un film western, composta da casette di legno più o meno grandi, dipinte con colori pastello tutte in stile fine secolo scorso. Le case non hanno fondamenta, sono tutte letteralmente posate sul terreno, tutto questo perché a pochi cm sotto la superfice c’è il permafrost, ossia è tutto gelato. Le stradine del centro non sono asfaltate, perciò molto fangose d’inverno, polverose d’estate. Per i pedoni sono allestite delle passerelle, che, essendo adiacenti alle costruzioni, forniscono un camminamento all’asciutto per potersi muovere all’interno della city. Ci sono diversi saloon alla stregua di quelli delle città del far west, e c’è il diamond tooth Gerties: un casinò, dove ogni sera rivive l’epopea della gold race con balletti che imperversavano in quegli anni. Il locale è dotato anche di parecchi tavoli verdi e diverse slot machine prese d’assalto da qualche turista e dai parecchi nostalgici cercatori d’oro, che ancora oggi setacciano il Klondike e il Bonanza con discreti successi. Il campeggio dove pernotteremo, si trova aldilà del fiume Yukon, e siccome non ci sono ponti, ci serviremo di un traghetto che fa la spola sul Yukon river 24 ore su 24. Il campeggio è deserto, data la stagione poco propizia. Con nostro stupore notiamo che sulla neve, è ancora presente parecchia paglia, che, a detta del custode, era servita da giaciglio per musher e cani della “Yukon Quest”; Per me, è stata un’emozione non da poco, perché da pochi giorni avevo finito di leggere un libro, che trattava di questa gara, e nella tappa di Dawson si parlava appunto di questo campeggio. Dormiamo fino alle nove di sera, dopodiché decidiamo di fare un giro in città. Il sole è ancora alto, e siccome al tramonto manca ancora molto, siamo andati a visitare le gold mine del Klondike. Come cercatori non siamo stati particolarmente fortunati; in compenso toccare con mano quei posti che sono stati teatro di un sogno di migliaia di disperati, ci ha ripagati della delusione di non aver trovato il filone aurifero, e in definitiva, l’oro, l’avremmo comprato l’indomani da qualche cercatore più scaltro di noi.

Sabato 27 maggio ore 00.20 am
Prendiamo posto per goderci lo spettacolo del “Diamond Tooht Gerties”. L’ambiente ci appare surreale, si ha la sensazione di fare un tuffo nel passato; arredamenti, abbigliamento dei personaggi e balletti, sono una perfetta riproduzione dei tempi della “gold race”. Ho fatto amicizia con “Brandy”, una bellissima ragazza del Wyoming, che lavora al “dente di diamante” come cameriera, e lei stessa mi ha fatto da cicerone per farmi visitare il dietro le quinte del teatro. Sono le due di notte quando usciamo, notiamo che c’è ancora parecchia luce, ma questo non ci fa recedere dalla pensiero di una buona dormita, visto che siamo in credito di sonno Da più di 40 ore. Sul traghetto ci dicono che la strada per l’Alaska è chiusa per neve e non sanno se l’apriranno in giornata. Non ce ne frega più di tanto, il nostro unico pensiero è il sacco a pelo e chiudere gli occhi per un sonno ristoratore.

Sabato 27 maggio ore 13.45 pm
Siamo in giro in città a fare shopping, quando con non poca sorpresa e piacere incontro Ludovica. L’avevo lasciata a Whitehorse, le nostre strade si dividevano. Chi avrebbe mai pensato che con un territorio così vasto, due persone si sarebbero potute incontrare di nuovo senza darsi un preciso appuntamento. E’ proprio piccolo il mondo. Dopo aver preso un caffè insieme al suo gruppo, le nostre strade si separavano di nuovo, loro tornavano a sud, mentre noi proseguivamo verso ovest. Ma questa volta avevo il suo numero di telefono, e avrei potuto sentirla ogni tanto.

Domenica 28 maggio ore 09.00 am
In mattinata abbiamo saputo che la “Top of the World” era stata aperta, perciò il nostro viaggio verso l’Alaska può continuare. L’ultimo, è stato un inverno particolarmente copioso di precipitazioni nevose, tant’è che abbiamo percorso i quasi 180 km che ci separavano dal confine americano, tra due pareti di neve, alte in certi punti fino a 2 mt. Dopo le foto di rito sotto al cartello “Welcome to Alaska”, ci siamo tuffati in discesa su una parvenza di strada, che ci condurrà a Tok. La Taylor Highway rispetto alla Top of the World, è poco più di una mulattiera, completamente asfaltata la prima, quanto sterrata la seconda. A complicarci la vita è sopraggiunta anche una fortissima nevicata, che mi ha impedito di scorgere 2 alci nel bel mezzo della strada, i quali sono scappati all’ultimo momento, rischiando un incidente, che ci avrebbe creato sicuramente qualche guaio.

Domenica 28 maggio ore 14.00 pm
Un punto di ristoro, un distributore di carburante, qualche casetta di legno: questa èTok. A guardare la grandezza del carattere sulle mappe, si pensa ad una città importante, invece a sentire la gente del posto; Tok è una città assurda: non c’è niente che possa attirare la curiosità del viandante, a parte qualche genere di prima necessità, come la benzina, e qualcosa da mangiare. Sulla strada per Fairbanks, poco prima di raggiungere Delta Janction, incontriamo una tribù di nativi. Il villaggio di Tanacross dista un paio di km dalla strada principale e non è come quello che ti aspetti. Gli “indiani”, stando vicino a centri abitati, si sono un po’ troppo “urbanizzati” hanno perso certi valori e usanze che li contraddistinguevano, basti pensare che vanno scorazzando con vecchie auto proprio malmesse hanno in frigorifero ketchup fumano marlboro e se gli chiedi di poter scattare loro una foto, dicono di si, solo a pagamento. L’Alaska Highway, è la strada più importane del nord ovest americano-canadese, questa arteria nasce nella provincia dell’Alberta in Canada, e finisce a Fairbanks in Alaska. Il tratto che stiamo percorrendo, è rappresentato da un lunghissimo (forse 30-40 km) rettilineo con un discreto traffico di enormi camion, che trasportano legname. Lungo il percorso, dopo aver ammirato lo spettacoloso paesaggio dell’Alaska Range (una catena montuosa che si snoda quasi parallela alla strada) e visitato la casa di Babbo Natale che si trova a North Pole, ci siamo imbattuti in un branco di Caribou che attraversava il Tanana river.

Domenica 28 maggio ore 23.00
Siamo arrivati a Fairbanks, il sole è ancora alto, cosi ci mettiamo in cerca del campeggio per sistemarci, preparare cena e soprattutto trovare una doccia, perché, non sappiamo quanti giorni sono trascorsi dall’ultima contatto con l’acqua calda. Dopo una breve visita al REY, supermercato assolutamente da visitare; mi sono messo “ai fornelli” e preparato degli ottimi spaghetti con asparagi selvatici. Avevamo con noi parecchi barattolini con i più svariati sughetti ; col tonno, coi piselli, fagioli, ecc olio di oliva (del mio orto) quattro tipi di pasta e persino un lonzino fatto in casa, come d'altronde tutto il resto, esclusa ovviamente la pasta. Insomma anche se in un paese, dove, fatto eccezione per alcuni Posti, era difficile mangiare bene; certamente, non saremmo morti per fame.

Lunedì 29 maggio ore 10.00 am
Questa mattina ho scritto un numero imprecisato di cartoline, era una promessa, ed ho avuto piacere a mantenerla. Adesso cercheremo un fioraio, perché questa mattina dobbiamo far visita a Jenny, un’amica di Maurizio, conosciuta in altri precedenti viaggi. Dobbiamo chiedere informazioni sul volo per andare a “Nome” come da programma, e ritirare una slitta di pelle (credo) di foca che Maurizio userà per allenarsi in vista di un prossimo viaggio d’avventura da svolgersi proprio qui in Alaska. Jenny abita appena fuori città, ci accoglie insieme al suo compagno nella sua casetta nel bosco. E’ una donna di un certo “peso”, nel senso che forse supera i 150 kg, il compagno non le è da meno, però mi sembra più agile, e lo sarà sicuramente perché nel garage ci mostra con orgoglio una maxi moto che regolarmente (tempo permettendo) usa. Preparo in loro onore (e per noi) dei bucatini all’amatriciana che li lascia letteralmente senza fiato. Dicono che non aver mai mangiato cosi bene (e te credo) e per ringraziarci ci hanno fatto dono di alcuni oggetti di artigianato locale. Parlando, ci hanno messo al corrente che la compagnia aerea che doveva portarci nella Seward peninsula, era fallita da qualche tempo per mancanza di clienti. Perciò con la cancellazione dei voli per lo stretto di Bering. il nostro programma subiva delle sostanziali modifiche, tra le quali non potevo consegnare la targa ricordo al sindaco di “Nome”.

Martedì 30 maggio ore 08.00 am
Con la slitta dentro il 4x4, lo spazio si è irrimediabilmente ridotto, e il bello (o il brutto) è, che ogni volta che bivacchiamo, dobbiamo scaricare tutto per poi ricaricare il mattino seguente. Attraversiamo Fairbanks e una volta lontani dalla città, ad un certo punto del Cheena river facciamo visita ad un campo indiano Inuit. Maurizio era conosciuto, perché da questi posti, qualche anno fa iniziò una traversata in solitaria con slitta al traino. Ci accolgono come se fossimo vecchi amici , ci fanno visitare Il campo, ci mostrano le tecniche artigianali per la lavorazione del salmone, certo, hanno le motoslitte, ma niente a che vedere con la tribù nei pressi di Tok. Nel campo c’è anche un computer, ma non per questo il legame col passato, con le vecchie tradizioni si è attenuato. D’inverno cacciano animali da pelliccia, d’estate i salmoni senza disdegnare il contatto con il mondo “civilizzato” sottoforma di un maestro elementare che “inizia” giornalmente i giovani nativi ad un’istruzione indispensabile anche a queste latitudini. Prima di lasciare il campo l’ultima sera cucino 2 kg di spaghetti aglio olio e (tanto) peperoncino : un successo colmato con un applauso, anche perché abbiamo lasciato in dono 2 barattoli pieni di asparagi selvatici, a loro sconosciuti.

Giovedì 01 giu ore 11.00 am
Siamo sulla Richardson Highway, la nostra meta odierna è la Denali Highway, un’altra mitica sterrata che parte da Cantwell e finisce a Paxon dopo circa 280 km di curve e saliscendi. Pochi km prima dell’imbocco, transitiamo davanti ad un enorme cartello che ci avvisa che siamo a pochi mt dal centro visitatori del Denali National Park: tiriamo dritti, perché ci siamo ripromessi che domani dedicheremo tutta la giornata alla visita di questo santuario della natura. L’Alaska è risaputo, è la terra dove l’acqua è abbondante, i suoi 1500 fiumi, i tre milioni di laghi ne fanno uno dei posti più umidi del pianeta. Ebbene la Denali Highway è un concentrato di tutto questo. Fiumi impetuosi, ancora parzialmente ghiacciati, laghi azzurrissimi più o meno piccoli, popolati da svariate specie di animali acquatici, si aprono sotto i nostri occhi: uno spettacolo straordinario a cui la macchina da presa Non rende assolutamente giustizia. Dopo esserci addentrati lungo lo sterrato per un centinaio di km, imbocchiamo un sentiero che ci porta dopo circa un km ad una radura dove montiamo il campo. Il rito della cena ormai era collaudato. Verso le undici di sera, metto a bollire l’acqua per la pasta. Io sono addetto sempre al rancio, mentre Maurizio pensa al pernottamento. spesse volte, come questa sera, prima di metterci giù a dormire, il mio compagno di ventura, ha messo in un sacchetto di plastica tutti i residui di cibo che emanano un odore più intenso, e si è allontanato dal campo di circa tre o quattrocento metri per sistemare gli avanzi che potrebbero attirare gli orsi, su di un’albero. Così l’eventuale visitatore notturno, attirato dal profumo della carne, non si sarebbe avvicinato alla nostra tenda.

Venerdì 02 giugno ore 05.00 am
Un grande baccano ci ha svegliato, non ci rendevamo conto di cosa potesse rompere quel sacro Silenzio. Mettendo il naso fuori dalla tenda abbiamo notato che il territorio era completamente imbiancato, frutto di una improvvisa, quanto inaspettata nevicata notturna. Il casino che sentivamo, era causato da uno stormo di oche delle nevi. Migliaia di uccelli avevano preso terra a circa 150 mt dal nostro accampamento, forse una sosta, dopo il lungo viaggio di ritorno dai luoghi di svernamento. E’ stato uno spettacolo indimenticabile. Migliaia di ali bianche bordate di nero, volteggiavano a pochi cm da terra, in cerca di cibo in qualche zona dove la neve, non aveva attecchito.

Venerdì 02 giugno ore 10.00 am
Al centro visitatori del Denali National Park, ci aspetta un pulmino che ci porterà insieme a qualche turista in anticipo sulla stagione, all’interno dell’area protetta.Il D.N.P. forse non sarà il più grande, ma sicuramente è il più selvaggio di tutti i parchi americani. Una viuzza sterrata si addentra per 120 km nel cuore di questo fantastico territorio, dove si vedono orsi all’inseguimento di caribou, pecore di Doll pascolare placidamente, ma sempre all’erta per evitare assalti improvvisi. Pernici bianche con la livrea che comincia a mutare per assumere una colorazione più bruna ideale per mimetizzarsi nel territorio. Al giro di boa del bussino durante uno snack, abbiamo convenuto che questo, sarebbe un posto da viverlo con la tenda, una intera settimana al suo interno, ci regalerebbe emozioni non comuni. Oggi è stata una giornata intensa, basti pensare che siamo tornati al centro visitatori che erano quasi le otto di sera. Stanchi morti, e senza cena abbiamo dormito nella macchina.

Sabato 03 giugno ore 11.00 am
Durante il nostro trasferimento verso Anchorage, facciamo tappa a Wassilla, abbiamo visitato il museo della Iditarod (famosissima corsa di cani con le slitte al traino) e ammirato oltre alle foto dei più celebri mushers; anche Balto: (imbalsamato) il cane che entrò a Nome (città sullo stretto di Bering) alla testa di una muta e ancor più importante portando come carico del siero antidifterico. Provvidenziale antidoto che salvò la città di Nome nel 1925 da una grave epidemia di difterite.

Domenica 04 giugno ore 09.00 am
Entriamo ad Anchorage; che ci appare come la classica città americana, strade larghe tutte dritte, case basse con molto verde intorno, sulla Tudor road, strada che ci porta al campeggio della città, il traffico è alquanto caotico e ci sembra di essere lontani anni luce dalla quiete della Denali o dai silenzi selvaggi della Dempster Highway. Oggi abbiamo incontrato Rudy, un amico di Maurizio Belli, siamo andati a pranzo insieme, per gustare salmone affumicato e halibut in un locale tipico della città. In serata abbiamo rintracciato Fred il figlio di Jenny, che ci farà la cortesia di recapitarci durante i suoi frequenti viaggi, nella Seward Peninsula,la targa ricordo per il sindaco di Nome.

Lunedì 05 giugno
In giro per la città

Martedì 06 giugno ore 10.00 am
Lasciamo Anchorage diretti a Whitehorse dove tra tre giorni abbiamo l’aereo per l’Italia lungo il primo tratto, la Glenn Highway non è molto comoda, ma in compenso molto spettacolare. In prossimità di Beaver creek, una montagna come un cono di gelato rovesciato ed innevata, si staglia su di una foresta fitta, tinta di un verde smeraldo e solcata da un fiume impetuoso di color turchese: Uno spettacolo che rapisce lo sguardo.Prima di tornare in territorio canadese, nei pressi di Poker creek , un’enorme alce femmina, con al seguito un piccolo, forse nato il giorno prima, ci attraversa la strada. Ci fermiamo ad ammirare lo spettacolo armati di reflex e telecamera, rimanendo in silenzio per non turbare mamma e figlio che si allontanano con molta calma, addentrandosi nel bosco.

Mercoledì 06 giugno ore 11.00 am
Abbiamo passato la notte sulle rive del Kluane lake, in località Distruction Bay: un postaccio molto squallido, anche perché siamo stati assaliti da nuvole di zanzare assetate del nostro sangue. Stiamo ripartendo per Whitehorse dove pensiamo di arrivare in serata.

Giovedì 07 giugno ore 08.00 am
La partenza per l’Italia è fissata per domani, perciò oggi cercheremo di raggiungere Skagway, una cittadina sull’oceano pacifico; porto di attracco per i disperati partecipanti della corsa all’oro del secolo scorso. Pochi km dopo, nei pressi di Carcross, ci siamo fermati per fotografare un lago dai colori stupendi. Emerald lake: lago di smeraldo, il verde si fonde all’azzurro con sfumature più o meno intense. Riflessi di bianco, incastonati ad una natura verdeggiante, danno del paesaggio, una visione magica. Poco dopo siamo transitati sul White pass ancora completamente innevato, e dopo una ripida Discesa, entriamo a Skagway.


Giovedì 07 giugno ore 11.30 am
Skagway ci appare letteralmente un porto di mare; data la relativa vicinanza al Giappone, si vedono in città un sacco di asiatici. Il villaggio somiglia strutturalmente a Dawson City, stesse casette di legno colorate, stessi saloon. Però le strade sono asfaltate e non si respira affatto la stessa atmosfera della cittàdina di Jack London. Nel pomeriggio abbiamo fatto visita all’insenatura di Dyea, il punto dove si arenarono le imbarcazioni dei cercatori giunti dal sud. Qui ha inizio il sentiero che porta al Chilkoot pass, che insieme al White pass rappresentavano le uniche vie per raggiungere il fiume Yukon. Col quale, dopo una discesa a tratti vorticosa di 1000 km, i più fortunati giungevano sfiniti a Dawson. City.

Venerdì 08 giugno ore 13.00 pm
Mentre aspettiamo l’aereo che ci verrà a prendere per riportarci a casa: una riflessione è d’obbligo; è stato un viaggio; come dire: avvincente!! Sulla carta mi ero fatto un’idea ben precisa di quello che avrei trovato. Dopo anni e anni di informazioni verbali e video, pensavo di sapere parecchio sui posti che andavo a visitare. Ebbene, dal “vivo” devo ammettere che è tutto un’altra cosa. La telecamera, o peggio una rivista, non può trasmetterti certe sfumature, che si avvertono, ascoltando da protagonista, il respiro di quella terra e di tutte le creature che la popolano. Perciò, io e Maurizio ci siamo fatti una promessa; non sappiamo quando, ma prima o poi, torneremo a visitare questi territori selvaggi, che appartengono a quella parte di mondo dal nome magico e misterioso: Il Grande Nord

Silvio Ascenzo